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Approfondimenti

Appalti infra 5000 euro: è davvero obbligatoria la piattaforma?

Sta facendo molto discutere in questi giorni il recente  parere MIT n. 2196/2023, il quale ritiene che anche per gli affidamenti di valore inferiore a 5.000 euro sia necessario l’utilizzo di una piattaforma certificata.

Secondo il MIT, in buona sostanza, l’art. 25 del nuovo Codice, nella misura in cui presuppone, dal primo gennaio 2024, l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare le piattaforme di approvvigionamento digitale per svolgere tutte le procedure di affidamento, abrogherebbe implicitamente la deroga contenuta nell’art. 1, comma 450 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che giustappunto fissava nell’importo dell’affidamento pari o superiore a 5.000 euro il presupposto per far scattare l’obbligo di ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione (invero da tempo non meglio definito, in ragione dell’ormai risalente abrogazione dell’art. 328 del DPR 207/2010).

Dal che, secondo il Ministero, l’inidoneità di uno scambio di corrispondenza mediante PEC ai fini di perfezionare un affidamento diretto di valore inferiore alla prefata micro-soglia di € 5.000.

In disparte alle condivisibili riflessioni dai più già attuate in ordine alla natura dell’affidamento in rapporto all’apparato definitorio del Codice (i.e. l’affidamento diretto non sarebbe una procedura di affidamento per gli effetti di cui all’art. 25 del Codice medesimo), ed in disparte all’assoluto ed oggettivo deficit di utilità dell’impiego di piattaforme telematiche per la gestione degli affidamenti diretti, vi è un’ulteriore argomentazione idonea ad instillare ulteriori dubbi rispetto alla correttezza del parere, predicabile quest’ultima solo volendo seguire un’atomistica e letterale interpretazione dell’art. 25.

L’art. 48 del Codice, infatti, prevede al comma terzo che “restano fermi gli obblighi di utilizzo degli strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa“.

Di analogo tenore l’art. 62 del Codice, il quale ribadisce che “le stazioni appaltanti, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo non superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti, e all’affidamento di lavori d’importo pari o inferiore a 500.000 euro, nonché attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate e dai soggetti aggregatori”.

Tra le vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa rientra con ogni evidenza la poc’anzi richiamata legge  n. 296/2006 (cfr. le norme di contenimento della spesa pubblica del marzo 2023 redatte dal MEF), disposizione che purtuttavia il MIT ritiene non più applicabile.

Detta norma, che dovrebbe “restare ferma”, non prevede alcun obbligo di utilizzare strumenti di negoziazione o di acquisto per i cd. micro-affidamenti infra 5.000 euro, di guisa che l’interpretazione offerta dal MIT pare rendere davvero prive di qualsivoglia significato le richiamate disposizioni di cui agli artt. 48 e 62, senza che il MIT medesimo si interroghi o si premuri di chiarire il loro possibile impatto in relazione alla conclusione tratta.

In altri termini, qual è la logica ragione per cui il legislatore avrebbe effettuato plurimi richiami alla disciplina sul contenimento della spesa pubblica, se in ultima istanza, nella tesi del MIT, intendeva renderli in concreto inapplicabili?

In attesa di chiarimenti da parte dell’ANAC sul punto, sotto il profilo pragmatico, ciò che è certo è che anche per i microaffidamenti  sarà necessario richiedere il CIG tramite le piattaforme certificate.

Non resta allora che attendere di poter verificare in concreto le funzionalità che saranno rese disponibili da dette piattaforme, molte delle quali, sebbene certificate, saranno ancora indisponibili almeno sino al 15 gennaio 2024 (come ad esempio Sintel o Start).

A quanto consta, la Piattaforma Eappalti della Regione Friuli Venezia Giulia, già pienamente operativa, attraverso il modulo “ANAC 2024” ha reso disponibile una specifica funzionalità per gli affidamenti di valore inferiore a 5.000,00 euro, che consentirebbe la richiesta del CIG indipendentemente da un suo collegamento ad una specifica procedura di gara o affidamento, con modalità non molto dissimili da quelle previste dall’ormai pensionato sistema smart CIG.

Ciò consente di superare, almeno in parte, le criticità a gran voce rilevate dagli operatori del settore (e anche dall’ANCI, cfr. la circolare 3/2024) nella prima fase di avvio della “rivoluzione digitale”, in una logica di proporzionalità e ragionevolezza (prima ancora che di “risultato”), ma per una via che contrasta però plasticamente con quanto affermato dal parere del MIT.

Come chiarito dalla Regione FVG (prot. 810905 del 29/12/2023) il flusso necessario per ottenere il CIG richiederà più passaggi, non continui, e senza alcun automatismo di avviso, flusso che a chi scrive pare del tutto incompatibile con i microaffidamenti (ed invero anche per ulteriori forme di affidamento diretto che taluni dei passaggi che seguono non presuppongono).

“Il processo in sintesi sarà:

  • Creazione, da parte del RUP, del fascicolo virtuale dell’appalto attraverso il modulo GGAP 4.0, previa autenticazione SPID ;
  • Integrazioni dei dati obbligatori dell’appalto, ricorrendo alla funzione di aggiornamento in PCP, da concludere con la funzione di “conferma appalto” (che non rende riscontro immediato) ed il cui esito va richiesto, esplicitamente, dal RUP, o da un suo Delegato, utilizzando la funzione “esito operazione”;
  • Ricevuto l’esito di “operazione completata” sarà possibile recuperare i codici CIG attraverso la funzione “Recupera CIG” richiesta esplicitamente dal RUP o da un suo Delegato.

La gestione del DGUE in formato elettronico comporterà:

  • L’obbligatorietà dell’utilizzo delle funzioni di predisposizione del DGUE (essendo questi un dato necessario per ottenere il CIG);
  • Una diversa gestione delle forme associate poiché ogni componente della stessa dovrà essere “invitato” ovvero coinvolto, operativamente, dovendo compilare, in autonomia, il proprio DGUE elettronico”.

Semplice, no?

Si auspica davvero che la “rivoluzione digitale”, ed in questo le caratteristiche delle piattaforme e la loro facilità d’utilizzo giocano un ruolo cruciale, possa davvero contribuire ad una maggiore efficienza procedimentale, e che non si trasformi invece in una prigionia informatica (è vivido il ricordo del moto perpetuo della “rotellina” sul sistema Avcpass, mai sopito nel FVOE 1.0, che per ore ed ore ha tenuto compagnia ai RUP di tutta Italia nell’ultimo decennio).

Si auspica davvero di non arrivare al paradossale scenario in cui l’impegno temporale speso dal RUP a “ciggare” arrivi a costare di più del bene “ciggato”…

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