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Giurisprudenza – Divieto di avvalimento per OS24 per beni culturali e ammissione di “subappalto necessario” – Legittimità

La ricorrente è stata esclusa dalla gara per lavori da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo e per una qualificazione nella categoria OG2 , prevalente per €. 200.328,73, e nella scorporabile OS24 (Verde ed arredo Urbano)  per €. 52.318,90.

A fondamento dell’esclusione il responsabile unico del procedimento evidenziava che la ricorrente aveva dichiarato, quanto alla categoria OS24, di volersi avvalere della qualificazione di un Consorzio Stabile, quale ausiliario, in tal modo violando l’art. 11 del disciplinare e l’art. 146, terzo comma del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, disposizioni che non consentono per le gare relative a beni culturali il ricorso all’istituto dell’avvalimento.

La società, con apposite istanze, oltre a contestare l’inapplicabilità del divieto nel caso di specie, evidenziava di aver dichiarato nella documentazione di gara di voler subappaltare tutti i lavori della categoria OS 24, circostanza del tutto negletta dalla stazione appaltante, che confermava l’esclusione per uso non consentito dell’avvalimento.

Tar Campania, Napoli, Sez. I, 09/ 12/ 2019, n.5800 respinge il ricorso dell’impresa esclusa.

Viene contestata l’esclusione in quanto la società ricorrente aveva dichiarato sia nella documentazione di gara, sia nell’offerta economica, di voler subappaltare l’intera categoria OS 24, circostanza che, ove non fosse stata ignorata dalla stazione appaltante, avrebbe consentito l’ammissione alla gara, dovendosi verificare il possesso della qualificazione in capo alla impresa subappaltatrice.

Con il secondo motivo di impugnazione si contesta l’applicazione del divieto di avvalimento nel caso di specie, dal momento che la limitazione posta dall’art. 146, terzo comma del d.lgs. 18 aprile 2019, alle gare aventi ad oggetto beni culturali, va intesa in senso restrittivo, trattandosi di una prescrizione volta a limitare la generale capacità di autorganizzazione del concorrente; ebbene, nel caso di specie l’edificio sarebbe privo della qualità di bene culturale, rendendo ingiustificata la limitazione all’istituto dell’avvalimento.

La decisione del Tar Campania risulta essere significativa e per questo da evidenziare.

Avuto riguardo al primo motivo, non è in contestazione che la società ricorrente, per la categoria scorporabile OS 24, avesse inteso partecipare mediante ricorso all’istituto dell’avvalimento, opzione non consentita nel procedimento di gara per cui è giudizio sia dall’art. 11 del disciplinare che dall’art. 146, terzo comma del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 («E’ ammesso il subappalto secondo le disposizioni dell’art. 105 del Codice degli Appalti. L’avvalimento non è ammesso ai sensi dell’art 146 e 3 del medesimo D. ls 50/2016»). Ciò di cui si duole parte ricorrente è di avere la stazione appaltante ritenuto l’applicazione di tale principio sufficiente per disporne l’estromissione, senza avere anche valutato, quale ipotesi alternativa, che essa aveva espressamente dichiarato di voler subappaltare per intero gli interventi di cui alla categoria OS 24, per cui la verifica dei requisiti di partecipazione avrebbe dovuto essere compiuta nei confronti del subappaltatore designato.

Osserva il Collegio che, nel caso di specie, non è in discussione la possibilità per la società ricorrente di fare ricorso al cd. subappalto necessario ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara, dovendosi piuttosto ritenere inconfigurabile la pretesa della medesima di poter dimostrare tale condizione anche ed eventualmente attraverso il ricorso al subappalto; invero, tale facoltà alternativa non può essere riconosciuta per le seguenti ragioni. Innanzitutto, occorre tenere ben distinto il subappalto dall’avvalimento, quest’ultimo funzionalmente limitato ad integrare il possesso dei requisiti speciali di partecipazione in capo al concorrente che ne sia privo, ove il primo è un subcontratto tipico volto, a valle, ad affidare ad un terzo imprenditore parte delle prestazioni dell’appalto principale, pertanto essendo destinato a rilevare essenzialmente nella sola fase di esecuzione del rapporto. Pur dovendosi riconoscere, ormai secondo consolidata giurisprudenza, la possibilità di riconoscere al subappalto, quale formula organizzativa, anche idoneità dimostrativa del possesso dei requisiti di partecipazione, resta fermo che tale capacità è del subcontraente, mentre l’avvalimento arricchisce il concorrente ausiliato. Ne discende che ove quest’ultimo scelga di partecipare attraverso l’istituto dell’avvalimento, pertanto, essenzialmente accedendo al procedimento con requisiti propri, sebbene in via mediata, il subappalto, ov’anche contemplato nella dichiarazione di partecipazione nell’offerta, come nel caso di specie, resta sullo sfondo, quale mera modalità di esecuzione, senza alcuna pretesa di poter essere «recuperato», come opzione partecipativa subordinata. Opinare diversamente determinerebbe innanzitutto un ingiustificato aggravio del procedimento, pretendendosi dalla stazione appaltante il compito di sostituirsi al concorrente nell’individuazione della formula partecipativa in concreto prescelta e di ricercare tale volontà, in fondo incompatibile con quella di far ricorso all’avvalimento; ma più grave vulnus lo subirebbe il principio della par condicio competitorum, riconoscendosi ad un concorrente specifico più opzioni di partecipazione e, quindi, favorendone l’accesso al procedimento, principio di favor partecipationis che deve ritenersi invece recessivo, ove capace di determinare un decisivo disequilibrio nella originaria condizione di uguaglianza dei concorrenti.

In altri termini, l’avere la società ricorrente deciso di partecipare alla gara mediante ricorso all’avvalimento impone che la verifica dei requisiti di partecipazione avvenga esclusivamente così come prospettata in sede di gara, non potendo ammettersi il ricorso a formule organizzative di riserva, da recuperarsi in via eventuale, ove queste non potevano che essere intese come modelli di organizzazione nella fase di esecuzione.

Con il secondo motivo, invece, parte ricorrente contesta l’interpretazione operata dalla stazione appaltante dell’art. 11 del disciplinare e, per esso, il richiamo operato all’art. 146, terzo comma del d.lgs. 18 aprile 2016, nella parte in cui il riferimento ai «beni culturali», quale ambito di esclusione dell’avvalimento, è stato inteso in senso ampio, ossia prescindendosi dalla verifica di esistenza effettiva di un interesse culturale da proteggere, nel caso di specie riguardando i lavori oggetto di affidamento un edificio rurale; in altri termini, secondo tale impostazione, non sarebbe sufficiente la mera ubicazione di tale immobile nell’area archeologica di Pompei per riconoscere la qualità di bene culturale.

Il motivo non può essere accolto.

Rileva il Collegio che anche volendo accettare, in linea di principio, quanto esposto dalla società ricorrente, ossia che sia necessario la sussistenza di interesse culturale specifico perché possa venire compressa la libertà di autoorganizzazione dei concorrenti ad una gara attraverso il divieto di avvalimento, è proprio tale lettura teleologica della norma di cui all’art. 146, terzo comma del d.lgs. 18 aprile 2016, e per esso dell’art. 11 del disciplinare, a provocare il rigetto della censura.

Invero, se, da un lato, non può dubitarsi del fatto che l’ubicazione dell’edificio – ancorchè avente natura di immobile rurale – all’interno dell’area archeologica possa esigere negli esecutori dell’intervento programmato il possesso di specifiche e personali capacità professionali, indispensabili proprio perché si deve comunque operare all’interno di un’area soggetta a vincolo speciale di cui deve essere preservata l’integrità, dall’altro è mancata la prova che la semplice natura di edificio rurale sia sufficiente a “neutralizzare” l’invece decisiva circostanza per cui ad essere interessati dai lavori sono anche gli ambienti ad esso circostanti e vincolati, così supponendosi la sussistenza di una situazione di «interferenza» che ben giustifica la piena operatività della cautela a cui presidio è posto il divieto avversato.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e appalti

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