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Sentenze

Mancata aggiudicazione – Quantificazione del risarcimento del danno

Merita di essere segnalata la Sentenza del Tar Sicilia perché il giudice, pur annullando l’aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 122 cod. proc. amm non ha ritenuto conforme all’interesse pubblico alla celere realizzazione dei lavori il subentro della ricorrente nell’esecuzione della parte dell’appalto non ancora eseguita.

Per cui i lavori (si tratta di opere emergenziali di regimentazione delle acque) continueranno ad essere eseguiti dalla controinteressata, sebbene l’aggiudicazione sia stata esplicitamente annullata.

I giudici, comunque, si esprimono sul risarcimento del danno all’impresa ingiustamente penalizzata dalle decisioni della stazione appaltante, ma senza applicare la quantificazione “forfettaria e presuntiva” del 10% dell’importo dell’offerta come richiesta dalla ricorrente.

Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 26/ 06/ 2020, n. 1283 così si esprime:

Deve, pertanto, essere accolta l’istanza di risarcimento per equivalente, sussistendone tutti gli elementi costitutivi ricavabili dall’art. 2043 c.c., senza che occorra interrogarsi anche sulla colpa della stazione appaltante.

Come noto, infatti, la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la relativa responsabilità è improntata – secondo le previsioni contenute nelle direttive europee – a un modello di tipo oggettivo (in termini Consiglio di Stato, IV, 15 aprile 2019, n. 2429 con ampi rinvii).

Per quanto concerne la quantificazione, va respinta la voce riferita al danno curriculare per mancato assolvimento del relativo onere probatorio.

La ricorrente non ha dimostrato (né dedotto) che la mancata integrale aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto oggetto del presente giudizio le ha precluso di acquisire ulteriori aggiudicazioni (di pari o superiore rilievo), né ha specificato quali sarebbero state le negative ricadute che il mancato affidamento ha cagionato, in termini di minore capacità competitiva e reddituale, sulle sue credenziali tecniche e commerciali.

Da tali elementi dimostrativi non può prescindersi, essendosi la più condivisibile giurisprudenza dell’adunanza plenaria (vedi sentenza n. 2 del 12 maggio 2017) e del Consiglio di Stato (per tutte Consiglio di Stato, III, 15 aprile 2019, n. 2435) attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata del profilo di danno c.d. curriculare.

L’unica voce di pregiudizio risarcibile risulta essere, pertanto, quella relativa alla perdita dell’utile, che è una lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., alla mancata integrale esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.

Ne consegue che non può trovare ingresso la quantificazione rapportata alla misura percentuale del 10% dell’importo dell’offerta fatta dalla ricorrente, in quanto fondata su di un criterio forfettario e presuntivo, che deriva da quanto previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto dall’art. 134, comma 1, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs.vo n. 163 del 2006, che la giurisprudenza amministrativa ha abbandonato (vedi la succitata sentenza n. 2435 del 2019) in considerazione del disposto dell’art. 124, comma 1, cod. proc. amm., a norma del quale il danno da mancata aggiudicazione deve essere “provato”.

L’oggetto di questa prova deve, appunto, avere riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa nel corso della gara.

Nella specie, in assenza di allegazioni ulteriori, che consentano la quantificazione di tale voce, non resta, per la liquidazione del mancato utile da attribuire alla ricorrente, a titolo risarcitorio, che fare ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. condanna sui criteri prevista dall’art. 34, comma 4, c.p.a. (vedi Consiglio di Stato, III, 5 marzo 2020, n. 1607).

Per l’effetto va ordinato alla stazione appaltante di proporre alla ricorrente il pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione dell’appalto in questione nella percentuale di utile determinato sulla base del ribasso del prezzo offerto dall’impresa in gara.

Tale importo dovrà essere decurtato dell’eventuale aliunde perceptum conseguito dall’impresa nell’esecuzione di altri lavori durante il tempo di svolgimento del contratto di cui è causa; a tal fine, l’impresa fornirà alla stazione appaltante i dati relativi ai lavori assunti nel periodo di durata del contratto.

La somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria, e degli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale.

All’amministrazione soccombente è assegnato il termine di 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa, o se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, per formulare alla ricorrente una proposta contenente la somma liquidata a titolo di risarcimento.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza Appalti

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