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Sentenze

Costo orario del personale e ‘monte ore annuo effettivo’

Nell’accogliere il ricorso della seconda migliore offerta il Tar Lombardia ricorda la necessità di una verifica stringente sul calcolo del costo orario del personale, partendo da una accurata ricostruzione delle relative modalità.

Secondo la ricorrente, infatti, l’offerta dell’aggiudicataria era da considerarsi anomala, con una sottostima del costo del lavoro, palesemente discorde rispetto alla tabelle ministeriali.

Il Tar ricorda preliminarmente come la retribuzione annua risultante dalle tabelle ministeriali debba essere divisa per il ‘monte ore annuo effettivo’. Tale ultimo indicatore integra il ‘divisore’, dalla cui applicazione si ottiene il quoziente, che costituisce, per l’appunto, il ‘costo orario del personale’.

Successivamente entra nel merito della questione, che riguarda specificamente il calcolo del ‘divisore’ (monte ore effettivo).

Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 12/ 08/ 2020, n. 1563 così si esprime:

L’individuazione del divisore è frutto di una sottrazione: dal monte ore teorico, che le Tabelle Ministeriali fissano in 1976 ore (38 ore settimanali moltiplicate per 52 settimane annue), devono sottrarsi le ore mediamente non lavorate per assenze del dipendente, dovute alla fruizione di diritti incomprimibili, istituti contrattuali, eventi imprevisti, quali: ferie; festività e festività soppresse; assemblee sindacali; malattia, gravidanza e infortunio; diritto allo studio; formazione professionale; Formazione permessi del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (TAR Marche, Ancona, I, 29 dicembre 2018 n. 829). Le ore mediamente non lavorate vengono determinate, in tabella, nel numero complessivo di 428, di cui 120 per malattia, infortunio e gravidanza.

7.2.4. La censura qui esaminata si appunta, in particolare, sulle ore di assenza per gravidanza, malattia e infortunio.

La xxx quantificava tali assenze, nella propria offerta, in misura inferiore rispetto alla cifra indicata in tabella: la società considerava infatti 48 ore di malattia, gravidanza e infortunio, a fronte delle 120 ore individuate dall’atto ministeriale. Il totale delle ore di assenza da sottrarre al monte ore teorico, rispetto al dato considerato nelle Tabelle ministeriali (428), scendeva dunque a 356. Il monte ore effettivo (divisore) che ne derivava era pari a 1620 (contro le 1548 ore cui pervengono le tabelle). Il divisore considerato dalla ditta è pertanto maggiore rispetto a quello indicato in tabella; da ciò scaturisce, per conseguenza, un costo del lavoro medio (quoziente) e complessivo inferiore riportato in offerta (TAR Marche, Ancona, I, 2 gennaio 2018, n. 5).

7.2.5. Di per sé, lo scostamento dai dati tabellari medi non è indice di anomalia. Invero, l’impresa ben può giustificare un’incidenza diversa, rispetto a quella media, di particolari tipologie di assenze del lavoratore, purché sulla base di argomenti puntuali e documentati (dai quali possa risultare, ad esempio, che per le peculiari caratteristiche della forza lavoro impiegata, in una data impresa vi sono assenze inferiori rispetto alla media con riferimento ad alcune voci): “il dato relativo alle ore annue effettivamente lavorate non è fisso ed inderogabile, se non con riguardo alle assenze legate alla fruizione di diritti incomprimibili. […] pertanto, in sede di giustificazioni, l’aggiudicatario provvisorio è ammesso a provare che le ore annue effettivamente lavorate dai propri dipendenti sono maggiori di quelle indicate nelle tabelle ministeriali, ma tale dimostrazione deve essere rigorosa […]” (TAR Marche, Ancona, I, 29 dicembre 2018 n. 829).

Nel caso di specie, xxx giustificava l’offerta presentata affermando, in termini pienamente avallati dalla stazione appaltante, che le ore di assenza per infortunio, malattia e gravidanza, pur confermate nella complessiva quantità di 120 (non contestata dalla ditta, la quale non deduceva né dimostrava una minore incidenza degli istituti qui considerati sulla propria forza lavoro), sarebbero state considerate nella sola misura in cui esse gravano, in termini di esborso effettivo, sul datore di lavoro. Dunque, siccome i costi afferenti al lavoratore assente per tali eventi sono coperti in misura pari al 60% dall’INPS, la ditta considerava nel ‘divisore’ le sole ore atte a generare costi effettivi, ovvero 48 ore, pari al 40% delle 120 ore tabellari.

7.2.6. La ricostruzione di xxx risulta errata ab imis.

Invero, i costi effettivamente sostenuti dall’impresa in caso di sostituzione non coincidono con quelli che su essa gravano direttamente in relazione al lavoratore sostituito. A tali importi devono infatti aggiungersi le somme afferenti ai compensi e alle altre voci di costo relativi al lavoratore sostituto, che presta la propria attività al posto della persona assente e costituisce a sua volta un dipendente dell’impresa.

La giurisprudenza ha infatti precisato che: “Il lavoratore assente per un motivo previsto dalla legge o dal c.c.n.l. ha comunque diritto alla retribuzione, il che vuol dire che il datore di lavoro deve sopportare un onere aggiuntivo per la sua sostituzione. E’ questa la ragione per la quale il divisore da utilizzare per la determinazione del costo orario è il numero delle ore annue effettivamente lavorate, perché in questo modo si ottiene un quoziente più alto che però include anche il costo per le sostituzioni” (TAR Marche, Ancona, I, 29 dicembre 2018, n. 829); e ancora: “i lavoratori impiegati per le sostituzioni sono comunque dipendenti della ditta, nei cui confronti operano tutti gli istituti contrattuali (ovviamente in relazione al tipo di contratto di lavoro e alle ore contrattuali)” (TAR Marche, Ancona, I, 2 gennaio 2018 n. 5); o più precisamente: “In sostanza, l’aumento del costo unitario [del lavoro – n.d.r.] deriva dal conglobamento di un costo ulteriore per l’impresa, derivante dall’impiego di altro personale, nella misura necessaria a sopperire alle assenze dal lavoro. […] la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato afferma in modo costante (ex multis: Cons. Stato, III, 2 marzo 2015, n. 1020; 13 dicembre 2013, n. 5984) che per il costo orario del personale da dimostrare in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta […] va considerato il «costo reale» (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio (da ultimo: Cons. Stato, III, 2 marzo 2017 n. 974 […]). […] La conseguenza di questo errore è data da un’esposizione di un costo orario per ciascun profilo professionale da presumersi non congruo, perché computato sulla base di un divisore che non tiene conto delle fisiologiche assenze dal lavoro e dei costi aggiuntivi sopportati dal datore per sostituire il personale assente” (Consiglio di Stato, V, 12 giugno 2017, n. 2815).

I dati medi presi in considerazione dalle tabelle ministeriali tengono conto di tale evidenza fattuale e finanziaria.

Proprio per tale ragione, in assenza di giustificazioni specifiche e documentate che incidano sul quantum delle assenze, il numero di ore non lavorate per malattia, infortunio e gravidanza non può essere diminuito artificiosamente dalla ditta, ma va conteggiato nella quantità indicata dalle tabelle. In caso contrario, si andrebbe ad abbassare illegittimamente (per effetto dell’innalzamento del divisore), il costo orario e complessivo della manodopera, omettendo di considerare i costi per sostituzione cui la ditta deve invece necessariamente far fronte al fine di eseguire esattamente il servizio appaltato. Il tutto, con effetti distorsivi della concorrenza, e potenzialmente idonei a compromettere l’equilibrio interno e complessivo dell’offerta, oltre che a pregiudicare l’interesse pubblico alla puntuale erogazione del servizio.

La giustificazione resa dalla ditta con riferimento alla quantificazione delle ore di assenza è dunque infondata, e in contrasto con il quadro normativo di riferimento e con la logica sottesa al funzionamento del sistema delle Tabelle ministeriali.

La censura proposta risulta pertanto fondata, stante l’accertata sottostima del costo del lavoro evidenziato in offerta dall’aggiudicataria, non giustificata dalla stessa, e vista l’illegittima valutazione di congruità posta in essere dalla stazione appaltante.

Il ricorso introduttivo merita dunque accoglimento, con annullamento dei provvedimenti impugnati. Per conseguenza, la procedura di gara andrà ripetuta dall’Amministrazione, a partire dalla valutazione di anomalia dell’offerta.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

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