ACCEDI AD ARUG
0
Sentenze

L’articolo 177 del Codice dei Contratti al vaglio della Corte Costituzionale

Importante decisione del Consiglio di Stato che sottopone alla Corte Costituzionale l’articolo 177 del Codice dei Contratti [1] relativo alle concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con finanza di progetto o con procedure di gara ad evidenza pubblica.

La Sentenza nasce da ricorso al Tar Lazio avverso le Linee Guida n.11 ANAC ( e successivo Atto di segnalazione A.NA.C. n. 4 del 17 ottobre 2018), previste appunto dall’articolo 177 comma 3 del Codice.

Il Tar Lazio Sezione prima, n. 9309/2019 dichiarava inammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti per carenza di immediata e concreta lesività degli atti impugnati.

Sul ricorso in appello invece il Consiglio di Stato, dopo aver accertato la lesività immediata delle Linee Guida n.11, stabilisce che le medesime sono quindi impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa.  Per cui la sentenza impugnata deve essere riformata e il ricorso di primo grado va dichiarato ammissibile.

Sulle censure sollevate in primo grado col ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti (espressamente riproposti con l’appello) così si esprime Consiglio di Stato, Sez. V, 19/ 08/ 2020, n. 5097.

9. Essendo pacifico ed incontestato che le Linee Guida n. 11 sono state emanate in applicazione dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, e affermata l’ammissibilità della loro immediata impugnazione, priorità logico – giuridica impone di iniziare l’esame delle censure da quelle che appuntano sotto vari profili dubbi di costituzionalità della norma di delega, di cui al sopra citato art. 1, comma 1, lett. iii) della legge n. 11 del 2016, e di quella delegata, contenuta nel medesimo art. 177………..

13. Esclusa l’interpretazione costituzionalmente conforme, le questioni di legittimità costituzionale sollevate da xxx divengono allora rilevanti nel presente giudizio, nella misura in cui le Linee Guida in esso impugnate, con specifico riguardo alla parte I, si manifestano come coerente interpretazione e diretta applicazione dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici, a sua volta emanato in attuazione del criterio direttivo enunciato nel più volte citato art. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega n. 11 del 2016, oltre che – in relazione all’interesse all’immediata impugnazione, positivamente sopra accertato – come presupposto per l’esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori dell’Autorità di vigilanza di settore previsti nella parte II delle medesime Linee Guida.

13.1. Le medesime questioni di legittimità costituzionale risultano inoltre non manifestamente infondate, innanzitutto sotto il profilo della libertà di impresa sancito dall’art. 41 della Costituzione.

Si pone in particolare in tensione con la citata garanzia costituzionale l’obbligo imposto ai concessionari (titolari di concessioni di importo pari o superiore a €. 150.000, come nel caso di specie) di dismettere l’intera concessione: a terzi, mediante procedura ad evidenza pubblica, per una quota all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alla concessione; a soggetti riconducibili al medesimo concessionario per il restante 20% (società in house di cui all’art. 5 D. Lgs. n. 50 del 2016 per i soggetti pubblici; società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati); ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (le indicate percentuali variano peraltro per i concessionari autostradali rispettivamente al 60% e al 40%).

Come in precedenza esposto, l’obbligo di messa a gara è giustificato sul piano logico – giuridico e su quello sistematico dall’esigenza di ripristinare la concorrenza “per il mercato” mancata in occasione dell’affidamento della concessione, avvenuto senza gara. Sennonché, attraverso una sua applicazione riferita all’intera concessione l’obbligo in questione è suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico – finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore. L’attività di quest’ultimo viene quindi ridotta a quella di una mera stazione appaltante, con l’unico compito di disciplinare ed attuare, secondo le direttive delle Linee Guida e degli enti concedenti, l’affidamento a terzi, estranei o a sé riconducibili, di quella che originariamente costituiva il proprium dell’unitaria concessione affidata dall’amministrazione.

Come inoltre plausibilmente sostenuto dall’appellante, un simile svuotamento della concessione appare foriero di una vera e propria disgregazione del sottostante compendio aziendale, con conseguente depauperamento anche del patrimonio di conoscenze tecniche e tecnologiche e di professionalità maturate dal concessionario nello svolgimento del rapporto, il quale non si pone in funzione del solo profitto privato, ma anche dell’interesse pubblico all’attuazione della concessione.

Per tutto quanto finora esposto, l’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.

Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

13.2. Le considerazioni ora svolte inducono a ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici anche con riguardo all’art. 3, comma 2, della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza.

L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte. Al medesimo riguardo va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di cause – anche occulte – di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno (cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la risoluzione o la riduzione della durata della concessione).

La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli equilibri economico – finanziari su cui erano stati pianificati i relativi investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto il profilo dell’interesse pubblico.

Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere evidenziato il fatto che l’obbligo di dismissione di cui si discute riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento dell’entrata in vigore dell’art. 177 D. Lgs. n. 50 del 2016, ovvero se la concessione fosse scaduta e che versasse in una situazione di proroga, di fatto o meno.

13.3. Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità costituzionale appaiono non manifestamente infondate in relazione all’art. 97, comma 2, della Costituzione, dal momento che le concessioni cui si riferisce l’obbligo di dismissione totalitaria concernono servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività ed affidati a concessionari privati per l’incapacità strutturale delle amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace. Ciò posto la norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle possibili ricadute sull’utenza.

14. Alla luce delle considerazioni che precedono sono pertanto rilevanti (in ragione dell’accertata ammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti) e non manifestamente infondate, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

15. In conclusione non definitivamente pronunciando sull’appello come segnato in epigrafe, lo stesso deve essere accolto in parte e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado, integrato da motivi aggiunti.


[1] Art. 177  Affidamenti dei concessionari

1.  Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all’articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento.

2.  Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2021. Le concessioni di cui al comma 1, terzo periodo, già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2020.

3.  La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dell’ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall’ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l’anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell’importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

ACCEDI AD ARUG
Anteprima Acquisto