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Sentenze

Anche il “Socio Sovrano” è da sottoporre alla verifica dei requisiti dell’articolo 80!

Nell’accogliere l’appello avverso la Sentenza di primo grado il Consiglio di Statostabilisce che il novero dei soggetti delle società di capitali, nei confronti dei quali occorre accertare il requisito della moralità professionale ai sensi dell’articolo 80 comma 3 del Codice[1], ricomprenda  non solo il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci” o il “socio unico persona fisica”, ma anche il “socio sovrano”.

“Socio sovrano” che viene individuato nel  socio persona fisica o società che detiene la larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell’atto costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. “Socio sovrano” che svolge, per effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante all’interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con scelte personali, l’attività della società.

La stazione appaltante, in sede di verifica dei requisiti, ha accertato sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 629 del codice penale ( estorsione) a carico del socio di maggioranza (per il 98,5% del capitale sociale) del socio unico persona giuridica della concorrente aggiudicataria. Lo stesso aveva effettuato le dichiarazioni sul possesso dei requisiti generali di moralità ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, ma la succitata sentenza di condanna non era stata dichiarata. La stazione appaltante aveva dunque escluso l’operatore economico, che aveva presentato ricorso al Tar.

La sentenza di primo grado ha ritenuto illegittima l’esclusione perché l’omessa dichiarazione, assunta a presupposto del provvedimento, riguarderebbe il socio unico persona giuridica e non persona fisica, richiamando un recente orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato ( vedi https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/socio-unico-persona-giuridica-non-deve-rendere-dichiarazioni-art-80/). Inoltre, la ricorrenza di eventuali gravi illeciti professionali potrebbe assumere rilievo, ai fini dell’esclusione, solo se riferibili al concorrente ad ai soggetti indicati dall’art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016. Pertanto, nella specie, non potrebbe assumere rilievo la circostanza che l’aggiudicataria abbia prodotto in gara la dichiarazione reticente del socio di maggioranza.

Consiglio di Stato, Sez. V, 27/11/2020, n. 7471 accoglie l’appello sancendo la legittimità dell’esclusione a suo tempo stabilita dalla stazione appaltante.

L’appello è fondato….

Il dott. -OMISSIS- attraverso -OMISSIS-, ha, infatti, rivestito la posizione di cosiddetto “socio sovrano” della partecipata -OMISSIS- durante tutto lo svolgimento della procedura concorsuale di specie.

E’ ritenuto “socio sovrano” il socio persona fisica o società che detiene la larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell’atto costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. Svolge, quindi, per effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante all’interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con scelte personali, l’attività della società.

 “Il socio di società di capitali che partecipi al capitale sociale in una misura capace di assicurargli la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni assembleari (in sede ordinaria e straordinaria), sicchè, in concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, l’assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l’esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale, si presenta come l’effettivo e solo titolare del potere gestionale, si da risultare vero e proprio “sovrano” della società stessa” (Cass. civ., sez. lavoro, 5 maggio 1998, n. 4532).

Il socio sovrano non si limita ad esercitare i diritti amministrativi e patrimoniali che derivano dalla sua partecipazione sociale, ma utilizza il potere in godimento per impartire direttive agli amministratori della società e, dunque, per esercitare il potere di governo della stessa.

Qualora dall’esercizio delle sue prerogative consegua una violazione dei principi del diritto societario o derivino danni alla società, la giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare l’art. 2497 cc., potendosi configurare la fattispecie di responsabilità da abuso della personalità giuridica che deriva dalla direzione unitaria della società, nonché l’art. 2476 c.c., fattispecie di responsabilità in cui incorre il soggetto che, con la sua azione dolosa o colposa, provoca danni nell’amministrazione della società.

Sono entrambe azioni di responsabilità risarcitoria per danni provocati alla società, non potendo al socio sovrano di una società di capitali essere imputata alcuna forma di responsabilità patrimoniale.

“La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente – nella specie attraverso un’Anstalt dal medesimo fondata- dell’intero capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i creditori dell’uno, pur se socio sovrano o tiranno, non possono aggredire i beni dell’altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare questa funzione, a norma dell’art. 2497 secondo comma, cod. civ., nella formulazione previgente a quella introdotta dall’art. 7 del DLG 3 marzo 1993 n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio” (Cass. Civ., sez. II, 16 novembre 2000, n. 14870).

 

“È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio … non sussiste incompatibilità tra la contemporanea sussistenza di un holder persona fisica e una società capogruppo delle società dirette dal primo: si tratta di una possibile coesistenza sia fenomenica (attenendo a due assetti organizzativi che possono emergere in fatto accanto alla regolazione formale dell’assetto giuridico-societario), sia giuridico-valoriale (ciascuna entità essendo esposta a regole di responsabilità proprie di comparti non di per sé sovrapponibili)” (Cass. Civ., sez. I, 27 gennaio 2017, n. 5520).

Il socio sovrano può, dunque, esercitare, di fatto, l’amministrazione delle società del gruppo.

Da tanto consegue che è sicuramente riconosciuta la facoltà della stazione appaltante di desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico (qui da intendersi complessivamente inteso, dunque anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano) di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2020, n. 5967; 14 aprile 2020, n. 2389). E per giurisprudenza costante, spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale o civile, perché essa sola può fissare il “punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente” (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2020, n. 4100; 6 aprile 2020, n. 2260; 17 settembre 2018, n. 5424; Cass. civ., Sez. Unite, 17 febbraio 2012, n. 2312).

L’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 rimette alla stazione appaltante il potere di apprezzamento delle condotte dell’operatore economico che possono integrare un “grave illecito professionale”, tale da metterne in dubbio la sua integrità o affidabilità anche oltre le ipotesi elencate nel medesimo articolo, le quali, dunque, hanno carattere meramente esemplificativo.

Né può esservi differenziazione tra condotta riprovevole del socio persona fisica e quella della società. Ed invero, ai fini della ricorrenza del grave illecito professionale, occorre avere riguardo a tutti coloro che sono in grado di orientare le scelte del concorrente e non rileva di per sé il principio di immedesimazione organica, destinato ad operare propriamente nell’ambito negoziale come modalità di imputazione all’ente della volontà manifestata dalla persona fisica cui ne è affidata la rappresentanza, quanto, piuttosto, l’altro principio già definito del “contagio” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6866). “Secondo siffatta impostazione se la persona fisica che nella compagine sociale riveste un ruolo influente per le scelte della società, anche al di là di un’investitura formale e, dunque, anche se in via di fatto, è giudicata inaffidabile per aver commesso un illecito nella pregressa attività professionale, inaffidabile può essere considerata – in virtù appunto del suo potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione – anche la società che dirige o è in grado di orientare con le sue indicazioni” (Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 2020, n. 3507).

“È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio. A tal fine è necessario che la suddetta attività, di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero anche di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, fonte, quindi, di responsabilità diretta del loro autore, e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo e le sue componenti, causalmente ricollegabili all’attività medesima” (Cass. civ., Sez. Unite, 29 novembre 2006, n. 25275).

Le precedenti considerazioni ricevono conferma dall’interpretazione dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, che, nella sostanza, riproduce il testo del previgente art. 45 della direttiva 2004/18, secondo cui le cause di esclusione dell’operatore economico rilevano anche nel caso in cui coinvolgano un membro del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza di tale soggetto o una persona avente poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo dello stesso.

La fondatezza della tesi dell’appellante non può, quindi, essere scalfita dalle pur pregevoli difese di -OMISSIS-atteso che, per quanto detto, la reticente dichiarazione rileva, nel caso di specie, perché indice della non integrità o affidabilità di -OMISSIS-ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) nell’attuale formulazione. E tanto risulta comprovato dalla dichiarazione non veritiera in merito alla perdita della qualità di socio di -OMISSIS- presentata dal sig. -OMISSIS-ai fini dell’ammissione in gara, atteso che, per il combinato disposto di cui agli artt. 71, 75 e 76 del d.P.R. n. 445/2000, nonché in omaggio al principio di autoresponsabilità, tale fatto oggettivo comporta l’esclusione dalla gara, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 perché indice di grave illecito professionale, che si pone in contrasto con l’esigenza di integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui la stazione appaltante deve contrattare, oltre che per il disposto dell’art. 76, comma 2, del d.P.R. n. 445/2000, per il quale: “l’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso”.

La piena legittimità del provvedimento di esclusione si fonda, dunque, su tali motivazioni, essendo noto l’insegnamento giurisprudenziale per il quale, anche in caso di vizi che affliggono una parte della motivazione degli atti plurimotivati, in omaggio al principio di conservazione degli atti provvedimentali, sintetizzabile attraverso il brocardo utile per inutile non vitiatur, è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale (cfr., fra le tante, Cons. Stato., sez. V, 7 giugno 2019, n. 3847; sez. III, 3 novembre 2016, n. 4611).

Art. 80 comma 3. L’esclusione di cui ai commi 1 e 2 va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l’esclusione non va disposta e il divieto non si applica quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero, nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa è stata dichiarata estinta ai sensi dell’articolo 179, settimo comma, del codice penale ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

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