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Sentenze

In una concessione mista la stazione appaltante non può prescindere dalla verifica del possesso dei requisiti di qualificazione per ciascuna delle tipologie di affidamento di cui l’appalto si compone

ANAC vede riconosciuta la correttezza della propria posizione su una procedura per l’affidamento in concessione di lavori di riqualificazione energetica, con relativa progettazione definitiva ed esecutiva, e del servizio di gestione della piscina comunale.

L’operatore economico aggiudicatario aveva dichiarato di appaltare interamente a terzi, con procedura ad evidenza pubblica, le attività di progettazione, direzione lavori, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione, nonché tutte le lavorazioni da eseguire, in ritenuta palese violazione e contrasto con quanto previsto dagli artt. 31, comma 8, e 105 del d.lgs. cit.

Anac veniva investita del contenzioso ed emetteva il parere vincolante richiesto. Il Parere di precontenzioso sosteneva l’illegittimità dell’aggiudicazione, ritenendo non conforme alla normativa di settore la clausola del bando di gara che riconosce al concessionario, in possesso dei requisiti di qualificazione necessari allo svolgimento del servizio, la possibilità di appaltare interamente a terzi i servizi tecnici e le lavorazioni previste negli atti di gara.

La stazione appaltante impugnava il parere di precontenzioso. Essendo  in presenza di una concessione “mista”, di servizi e lavori non si comprende la ragione per la quale l’art. 95, comma 3 del DPR 207/2010 (che consente all’aspirante concessionario, che non è in possesso dei requisiti richiesti per l’esecuzione di lavori, di farli eseguire da altri soggetti qualificati) non poteva trovare applicazione, per quanto compatibile, nel caso in esame.

Tar Lazio, Roma, Sez. I, 28/10/2020, n. 10997 aveva accolto il ricorso ed annullato il parere di precontenzioso.

Consiglio di Stato, Sez. V, 08/11/2021, n.7417 ribalta la sentenza di primo grado:

4.Tanto chiarito, le censure mosse da ANAC avverso le descritte argomentazioni si rivelano fondate. La sentenza impugnata non può quindi trovare conferma.

5.In linea generale, deve osservarsi che la ricostruzione del primo giudice basa su una interpretazione forzata del disposto letterale di tutte le norme ivi considerate: per l’effetto, l’approdo finale risulta espressivo di una ratio “antisistematica”, non essendo riconducibile né ad alcune di esse né al loro complesso.

6.Più in dettaglio, l’art. 95, comma 3, d.P.R. 207/2010 regola espressamente gli affidamenti relativi alle concessioni di lavori, mentre il primo giudice lo ha applicato a una fattispecie relativa a una concessione mista, di servizi e di lavori.

L’operazione, che si scontra quindi apertamente con il dato testuale della norma regolamentare, non può dirsi corretta neanche considerando che, come sottolineato dalla sentenza impugnata, la direttiva UE 2014/23, successiva al d.P.R. 207/2010 attuativo delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE che non regolavano le concessioni di servizi e miste, ricomprenda ormai nel suo novero anche queste ultime.

La direttiva 2014/23 è infatti confluita nel d.lgs. 50/2016. Sicchè, nella stessa prospettiva del primo giudice, è nell’ambito di tale contesto regolatorio che dovrebbe rinvenirsi una norma legittimante la possibilità del concessionario di servizi e di lavori di non qualificarsi per questi ultimi dichiarando di appaltarli a terzi. Ma la sentenza impugnata non riesce a individuare una siffatta norma, né la sua carenza può essere interpretata come un vuoto normativo colmabile con le previsioni della lex specialis, come sostiene il Comune di ………. Rileva infatti la presenza nel d.lgs. 50/2016 di norme che stridono con la tesi propugnata nella sentenza e di cui nel suo ambito non viene offerta una convincente sistemazione.

Indi, per quanto strettamente concernente il ridetto art. 95, comma 3, del d.P.R. 207/2010, l’operata estensione del suo campo di applicazione alle concessioni di servizi costituisce un indebito ampliamento del contenuto della norma, il quale, non potendo dirsi nemmeno confortato da una finalità anticipatoria degli effetti di norme successive, refluisce nello sconfinamento delle competenze esclusive del legislatore denunziato da ANAC.

7.Quanto al d.lgs. 50/2016, va escluso come appena detto che le relative disposizioni possano essere interpretate nel senso fatto proprio dal primo giudice.

7.1. L’art. 28, Contratti misti di appalto, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. 50/2016 (“L’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto”) è chiaro nell’escludere che nell’ambito di una procedura avente a oggetto una concessione mista la stazione appaltante possa prescindere dalla verifica del possesso in capo agli aspiranti dei requisiti di qualificazione e capacità per ciascuna delle tipologie di affidamento di cui l’appalto si compone. 

7.1.1. Nulla muta considerando che la fattispecie si connota per la netta prevalenza della componente “servizi” rispetto a quella “lavori”.

Questo Consiglio di Stato ha anche di recente ribadito, in relazione a un analogo affidamento, che l’art. 28, comma 1, ultimo periodo, del Codice, come già ritenuto dalla pregressa giurisprudenza, si avvale del criterio della “combinazione dei regimi giuridici” in deroga a quello della “prevalenza” utilizzato nello stesso comma 1 per individuare la disciplina generale del contratto misto. E si tratta, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di ………., di una giurisprudenza di sicuro interesse nella fattispecie, in quanto testimonia la peculiare valenza che l’art. 28 assume nel sistema degli affidamenti pubblici.

In particolare, si è osservato (V, 13 luglio 2020, n. 4501) che:

a) la norma in parola riproduce la previsione a suo tempo dettata dall’art. 15 dell’abrogato Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, già interpretata da dottrina e giurisprudenza nel senso di attribuire alla qualificazione obbligatoria per ciascuna delle prestazioni oggetto dell’appalto il ruolo di vero e proprio requisito di partecipazione alla procedura di affidamento, a differenza di quanto previsto dal previgente art. 8, comma 11-septies della l. 11 febbraio 1994, n. 109, che assegnava invece alla qualificazione obbligatoria il diverso ruolo di requisito necessario ai fini dell’esecuzione dei lavori (e che, più in generale, limitava l’applicazione delle disposizioni in materia di qualificazione all’ipotesi in cui i lavori rappresentassero la prestazione economicamente prevalente e non avessero carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto principale del contratto misto: Cons. Stato, V, 30 maggio 2007, n. 2765);

b) la giurisprudenza, facendo applicazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha ritenuto legittima una prescrizione di lex specialis che imponeva ai concorrenti di allegare la loro pregressa esperienza per ciascuna delle prestazioni (servizi e lavori) comprese nel contratto, a prescindere dalla prevalenza dell’una o dell’altra (Cons. Stato, V, 28 febbraio 2012, n. 1153);

c) la mancanza di cenni espliciti, nella legge di gara, al possesso dei requisiti di qualificazione relativi alla componente relativa ai lavori di un contratto misto è supplita dal meccanismo della inserzione automatica di clausole, analogamente a quanto previsto in ambito civilistico dagli artt. 1339 e 1374 Cod. civ., cosicché neppure viene in considerazione l’esercizio del potere di soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante (Cons. Stato, III, 18 luglio 2017, n. 3541);

d) analogo approccio è stato mantenuto al riguardo dell’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, che – ai fini della partecipazione alla gara, e non solo dell’esecuzione dell’appalto – impone ai concorrenti il possesso dei requisiti di qualificazione e capacità relativamente a ogni singola prestazione costituente l’appalto misto (Cons. Stato, III, 7 agosto 2017, n. 3918);

e) pertanto, i concorrenti devono allegare e comprovare la loro pregressa esperienza e il possesso dei requisiti di idoneità professionale, di capacità economica e finanziaria e di capacita tecniche e professionali per ciascuna delle prestazioni (servizi e lavori) comprese nel contratto, a prescindere dalla prevalenza dell’una o dell’altra (Cons. Stato, V, 26 febbraio 2012, n. 1153);

f) diversamente opinando, l’intera procedura di gara sarebbe illegittima per non aver previsto i necessari requisiti di qualificazione per selezionare gli operatori economici idonei all’esecuzione di opere pubbliche.

7.2. Le conclusioni sopra raggiunte sono coerenti con l’impostazione delle norme eurounitarie cui si conformano le disposizioni nazionali, che, in disparte la specifica fonte sulla cui base l’amministrazione provvede alla loro individuazione (art. 95, comma 1, d.P.R. 207/2010; art. 83, comma 1, lett. c), d.lgs. 50/2016), impongono al concorrente, già all’atto di partecipazione alla gara, la dimostrazione delle capacità necessarie a eseguire “tutte” le prestazioni dedotte in contratto, capacità le quali devono essere possedute in proprio, o assicurate mediante il ricorso all’ATI con un soggetto che a sua volta le possiede, ovvero ancora all’avvalimento, istituti da tempo previsti e regolati nell’ordinamento settoriale proprio ai fini pro-concorrenziali considerati dal primo giudice. Non è pertanto condivisibile neanche il presupposto da cui parte la sentenza impugnata, laddove evoca un contesto nel quale l’unico rimedio per favorire la concorrenza nelle concessioni di servizi e miste sembra essere costituito dall’appalto a terzi, e, così facendo, perviene a conclusioni incompatibili con l’interesse pubblico, nella misura in cui contraddice il perno fondante dei contratti pubblici, costituito dalla individuazione a priori dell’operatore economico, e quindi delle sue capacità, cui è materialmente demandato lo svolgimento delle attività oggetto di gara.

7.3. Nel tentativo di superare la predetta incompatibilità, il primo giudice sottolinea che tale operatore va comunque individuato alla luce del Codice dei contratti pubblici: ma si tratta di una soluzione molto semplicistica, che, più che corroborare l’impianto argomentativo in esame, depone piuttosto per la sua debolezza.

In particolare, una volta offerta risposta positiva al quesito di se un operatore economico possa concorrere all’affidamento di una concessione mista di servizi e di lavori e divenire concessionario pur non essendo qualificato per l’esecuzione dei lavori, la sentenza impugnata individua la fonte normativa che legittimerebbe detto concessionario ad appaltare i lavori a terzi nell’art. 1, comma 2, lett. d), dello stesso Codice.

Ma la norma (secondo cui “Le disposizioni del presente codice si applicano, altresì, all’aggiudicazione dei seguenti contratti: […] d) lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice”), si riferisce espressamente ai soli concessionari di servizi, ed esclusivamente in tal senso rivela la sua ratio, considerato che la regolata evenienza si spiega considerando che questi, proprio in quanto tali, non necessitano di una qualificazione diversa da quella coerente con l’oggetto della concessione di cui dispongono: la sua estensione a una procedura che richiede anche tale diversa qualificazione è pertanto carente di presupposto, e si rivela alla stregua di una ingiustificata recessione dal potere/dovere di cui all’art. 28 del Codice di selezionare l’operatore economico sulla scorta delle sue capacità di svolgere tutte le attività oggetto di affidamento.

Del resto, che i lavori cui fa riferimento l’art. 1, comma 2, lett. d), del Codice siano quelli già contemplati nel contratto aggiudicato è affermazione del Comune di ……….. che non trova rispondenza nella lettera della norma, e nulla muta considerando che, come pure osservato dallo stesso Comune, qualora nel corso dell’esecuzione sopravvenga la necessità di realizzare lavori supplementari, esulanti dall’oggetto del contratto, il concessionario non potrebbe procedere tout court al loro affidamento a favore di terzi, dovendo prima modificarsi il contratto stesso ai sensi dell’art. 175, comma 1, lett. b), dello stesso Codice: si tratta infatti di due aspetti non incompatibili, bene potendo l’art. 1, comma 2, lett. d), delimitare nei sensi precisati uno dei campi applicativi del Codice, e il successivo art. 175, comma 1, lett. b), regolare la vicenda sotto il profilo della sua incidenza sul contratto di concessione.

Corretto, dunque, alla luce dell’art. 1, comma 2, lett. d), e dell’art. 28 del Codice dei contratti pubblici, il rilievo critico fatto valere nei confronti della impugnata ricostruzione normativa da ANAC nel chiedere “dove risieda l’interesse della SA alla selezione di un operatore economico che, seppur chiamato a eseguire lavori e a espletare servizi tecnici, si riserva, poi, di individuare in un momento successivo (peraltro non meglio precisato) i soggetti che materialmente svolgeranno le suddette attività”: e, in effetti, per quanto sin qui considerato, è dirimente nella vicenda che occupa, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il fatto che i lavori che il primo giudice ha ritenuto poter formare oggetto del c.d. “appalto a terzi” siano gli stessi che formano oggetto della concessione.

7.4. Quanto all’art. 177 del Codice, il primo giudice ha ritenuto che la previsione, connotata da ristretti limiti intertemporali, non possa costituire a sistema una c.d. “norma di chiusura” rispetto all’appalto a terzi.

La conclusione non è condivisibile.

La genesi della norma può essere ricostruita sulla base del parere n. 1582/2018 reso dalla Commissione speciale di questo Consiglio di Stato sulle Linee guida ANAC recanti “Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea”, che ha osservato come la disposizione:

– costituisca “lo svolgimento del criterio direttivo previsto dall’art. 1, comma 1, lett. iii) della legge di delega n. 11/2016, il quale, sviluppando ulteriormente una previsione già in essere per i soli concessionari autostradali, l’ha contestualmente estesa a tutti i concessionari di lavori o di servizi pubblici di importo superiore a 150.000 euro, che non siano stati selezionati a mezzo di project financing o di procedure di evidenza pubblica conformi al diritto dell’Unione, in guisa da imporre ai detti concessionari l’esternalizzazione, previa procedura ad evidenza pubblica, di una quota ‘pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni’”;

– sia estranea al perimetro delle direttive UE 23, 24 e 25/2014, attesa la sua evidente ratio di restituire, a valle, parte della concorrenza mancata a monte, secondo uno schema che ha a oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle concessioni a suo tempo affidate direttamente, ciò che costituisce “condizione sufficiente per l’operatività della norma”, alla luce del criterio direttivo che la ispira, e che è quello che, senza incidere sull’esistenza e la durata dell’originaria concessione, e quindi in un logica “riequilibratrice e non sanzionatoria”, si propone di adeguare, seppur in via mediata e indiretta, l’originario rapporto concessorio al mutato approccio alla concorrenza per il mercato di cui alla direttiva 2014/23/UE, nonché ai principi generali della Costituzione e del Trattato;

– riprenda la analoga norma già vigente nei confronti dei concessionari autostradali di cui all’art. 253, comma 25, del previgente Codice di cui al d.lgs. 163/2006, nonché la ratio sottesa all’art. 146 dello stesso Codice 163/2006, a mente del quale, nel bando, poteva essere imposto a qualunque concessionario di lavori pubblici, comunque selezionato, di affidare almeno il 30 per cento dei successivi lavori mediante procedure ad evidenza pubblica.

Tanto chiarito, come si evince dal predetto parere n. 1582/2018, l’appalto a terzi considerato dall’art. 177 in commento è un rimedio a carattere pro-concorrenziale destinato a incidere su rapporti sorti in un contesto normativo diverso da quello considerato dalla direttiva 2014/23/UE, sicchè nel panorama delineato a regime da detta direttiva la disposizione si configura come neutra, e proprio per questo essa è altamente significativa della non attualità nello stesso ambito dell’istituto del c.d. “appalto a terzi”.

 

Art.95

1.I soggetti che intendono partecipare alle gare per l’affidamento di concessione di lavori pubblici, se eseguono lavori con la propria organizzazione di impresa, devono essere qualificati secondo quanto previsto dall’articolo 40 del codice e dall’articolo 79, comma 7, del presente regolamento, con riferimento ai lavori direttamente eseguiti ed essere in possesso dei seguenti ulteriori requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi:

a) fatturato medio relativo alle attività svolte negli ultimi cinque anni antecedenti alla pubblicazione del bando non inferiore al dieci per cento dell’investimento previsto per l’intervento;

b) capitale sociale non inferiore ad un ventesimo dell’investimento previsto per l’intervento;

c) svolgimento negli ultimi cinque anni di servizi affini a quello previsto dall’intervento per un importo medio non inferiore al cinque per cento dell’investimento previsto per l’intervento;

d) svolgimento negli ultimi cinque anni di almeno un servizio affine a quello previsto dall’intervento per un importo medio pari ad almeno il due per cento dell’investimento previsto dall’intervento.

2.In alternativa ai requisiti previsti dal comma 1, lettere c) e d), il concessionario può incrementare i requisiti previsti dal medesimo comma, lettere a) e b), nella misura fissata dal bando di gara, comunque compresa fra 1,5 volte e tre volte. Il requisito previsto dal comma 1, lettera b), può essere dimostrato anche attraverso il patrimonio netto.

3.Se il concessionario non esegue direttamente i lavori oggetto della concessione, deve essere in possesso esclusivamente degli ulteriori requisiti di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d).

 A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti
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