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Sentenze

Il grave illecito professionale si può desumere anche dall’indagine penale in corso

L’aggiudicataria è stata oggetto di indagini della Procura della Repubblica, che hanno riguardato il Presidente del Consiglio di amministrazione e hanno condotto alle sue dimissioni.

In relazione a tale vicenda, la stazione appaltante prima  ha provveduto a sospendere la procedura (per la quale era prossima la stipula del contratto), “in attesa degli sviluppi legali relativi all’inchiesta in corso e di eventuali comunicazioni ufficiali in merito da parte dell’Amministrazione comunale”, poi ha revocato l’affidamento.

Tra i motivi della revoca è stata anche evidenziata la sopravvenuta carenza dei requisiti di affidabilità in capo alla ricorrente, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016.

La ricorrente, tra i vari motivi, contesta la violazione dell’art. 80, comma 5, lett. c, del d.lgs. n. 50/2016 in quanto le motivazioni dell’esclusione si basano sulle “tesi accusatorie” formulate con un’ordinanza cautelare che non possono costituire mezzo adeguato di accertamento di un grave illecito professionale.

Tar Campania, Salerno, Sez. I, 10/06/2022, n.1626  dichiara improcedibile il ricorso:

10.Sono altresì infondati il secondo e il quarto motivo di ricorso.

Secondo l’art. 80, comma 5, lett. c, del d.lgs n. 50/2016, la Stazione appaltante può procedere all’esclusione del concorrente qualora riesca a dimostrare, mediante “mezzi adeguati”, che allo stesso sia imputabile un grave illecito professionale; la disposizione riserva all’Amministrazione un ampio potere discrezionale anche nell’individuazione degli strumenti probatori della specifica causa di esclusione.

La Stazione appaltante può di conseguenza fondare le proprie valutazioni su qualunque atto da cui emergano, con ragionevole attendibilità, elementi apprezzabili ai fini della verifica della sussistenza di un grave illecito professionale.

Tali possono essere anche gli atti da cui emergano le risultanze di un’indagine penale e da cui siano ricavabili specifici, circostanziati e gravi indizi, senza necessità di attendere un provvedimento di rinvio a giudizio o un provvedimento, anche non definitivo, di condanna. Gli atti di indagine infatti rilevano in quanto veicolo di informazioni rilevanti e utili per la Stazione appaltante ai fini dell’autonoma verifica della sussistenza della causa di esclusione.

Peraltro le stesse Linee guida n. 6 sono state adottate dall’ANAC al dichiarato fine di “fornire indicazioni operative e chiarimenti in merito alle fattispecie esemplificative indicate in via generica dal Codice e ai criteri da seguire nelle valutazioni di competenza. Ciò nell’ottica di assicurare l’adozione di comportamenti omogenei da parte delle stazioni appaltanti e garantire certezza agli operatori economici”; tali Linee guida precisano che “Le stazioni appaltanti possono attribuire rilevanza a situazioni non espressamente individuate dalle Linee guida, purché le stesse siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta indicata dall’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice e sempre che ne ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi”, evidenziando il carattere “aperto” del novero degli illeciti professionali e dei relativi mezzi di prova.

La stessa giurisprudenza ha chiarito che “Le linee guida contengono indirizzi tesi a dare uniformità e prevedibilità all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti esonerandole da valutazioni complesse o stringenti oneri motivazionali laddove si verifichi la fattispecie espressamente e previamente delineata quale “adeguata” dal punto di vista probatorio, secondo un regime presuntivo che non trova applicazione in altre fattispecie (sul punto Cons. Stato Sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8211, ma in tal senso anche Ad. Plen. n. 16/2020) in cui invece dev’essere l’amministrazione a valutare, in concreto, se e per quali motivi gli elementi raccolti depongano per un illecito professionale così grave da incidere sull’affidabilità morale o professionale dell’operatore. In tali valutazioni l’amministrazione deve ovviamente considerare i fatti emergenti dall’indagine penale, le conseguenze dell’indagine e le regole che previamente si è data, attraverso la legge di gara, per vagliare il disvalore specifico delle condotte rispetto all’instaurando rapporto contrattuale.

Tale interpretazione è peraltro l’unica conforme al diritto europeo. Secondo le ripetute indicazioni della Corte di Giustizia, il potere della stazione appaltante non può essere limitato da preclusioni poste dal diritto nazionale, ma si deve basare sull’accertamento in concreto dei fatti, rimesso esclusivamente al vaglio della stazione appaltante medesima (sul punto si veda CGUE n. C-425/18, nonché, sull’importanza che sia la stazione appaltante a effettuare in concreto anche C-41/18 del 19.06.2019)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 2 agosto 2021, n. 5659 e Consiglio di Stato, sez. III, 11 gennaio 2022, n. 198).

La valorizzazione degli elementi emersi nella fase delle indagini è ben possibile in quei casi, come quello all’esame, in cui nell’ambito della medesima indagine sono stati adottati provvedimenti di applicazione di misure cautelari, sottoposti a uno specifico vaglio, in grado di descrivere in maniera compiuta e circostanziata fatti specificamente afferenti a procedure di gara e non altrimenti rilevabili, specie per la collusione tra soggetti appartenenti all’impresa e soggetti appartenenti alla medesima amministrazione.

La stessa giurisprudenza ha affermato che “qualora ricorra un quadro di elementi precisi, diretti e concordanti, la stazione appaltante, al fine di addivenire al giudizio finale, può e deve far riferimento al complesso delle circostanze emergenti dalla fattispecie, senza che occorra necessariamente attendere sempre l’esito del giudizio penale al fine di affermare l’inaffidabilità, l’incongruità o la mancanza di integrità della procedura di gara” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 1° aprile 2019, n. 2123).

La medesima giurisprudenza aveva infatti già sostenuto che “Secondo consolidata e condivisibile giurisprudenza non è, infatti, indispensabile che i gravi illeciti professionali che devono essere posti a supporto della sanzione espulsiva del concorrente dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 siano accertati con sentenza, anche se non definitiva, ma è sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi, atteso che l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella disposizione normativa succitata è meramente esemplificativa e la stazione appaltante ha la possibilità di fornirne la dimostrazione con mezzi adeguati; è stato evidenziato infatti che “Ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, è consentito alle stazioni appaltanti escludere da una procedura di affidamento di contratti pubblici i concorrenti in presenza di pregressi gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la loro integrità o affidabilità. In tali ipotesi, la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell’esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla stazione appaltante” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2018, n. 6786; 23 agosto 2018, n. 5040; sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; 3 aprile 2018, n. 2063; 2 marzo 2018, n. 1299; 4 dicembre 2017, n. 5704) e che “Il legislatore, quindi, ha voluto riconoscere a quest’ultima (stazione appaltante) un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore. Ne consegue che il sindacato che il g.a. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera “non condivisibilità” della valutazione stessa” (cfr. Cass. Civ., S.U., 17 febbraio 2012, n. 2312), mentre “L’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5 dell’art. 80 è meramente esemplificativa, per come è fatto palese sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione <<con mezzi adeguati>>, sia dall’incipit del secondo inciso (<<Tra questi (id est, gravi illeciti professionali) rientrano: […]>>) che precede l’elencazione” (Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299)” (cfr. Consiglio di Stato sez. V – 27/02/2019, n. 1367).

Il provvedimento impugnato fa espressamente riferimento all’ordinanza cautelare da cui emerge, al di là della gravità delle misure applicate nei confronti dei singoli soggetti, il coinvolgimento della ricorrente nella alterazione delle attività di affidamento, protrattasi nel tempo e fino alla procedura di gara in questione, volta all’illecita ripartizione delle commesse oggetto della procedura.

Pertanto gli elementi posti dall’Amministrazione a sostegno del provvedimento adottato travalicano i limiti collaborativi derivanti dall’appartenenza della ricorrente e delle altre cooperative ad un unico consorzio; tale appartenenza, infatti, non può giustificare la citata turbativa e gli elementi fattuali da cui la stessa è stata desunta.

Il provvedimento adottato dà atto dell’acquisizione di copia dell’ordinanza cautelare e dell’autonoma valutazione condotta in merito agli elementi fattuali ricavabili dalla medesima ordinanza, seppure con una sintetica motivazione stante l’evidente e indiscutibile gravità della vicenda.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

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