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Sentenze

L’istanza di revisione del prezzo formulata dall’aggiudicataria prima della stipulazione del contratto non è giuridicamente ipotizzabile nè ammissibile. Il Consiglio di Stato conferma

Come si ricorderà, il Tar Brescia aveva stabilito come l’istanza di revisione prezzi formulata prima della stipula del contratto non fosse giuridicamente ipotizzabile.

Il Consiglio di Stato conferma la correttezza della sentenza di primo grado.
Ecco la sintesi di Consiglio di Stato, Sez. IV, 31/10/2022, n 9426
8.7. Va soggiunto, inoltre, che, in linea generale, come messo in evidenza dal T.a.r., le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica.
Nel caso di specie, la società istante ha invece domandato la modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto.
9. Non può poi essere accolta l’articolata prospettazione di parte, secondo cui si potrebbe trarre dai principi generali dell’ordinamento euro-unitario e, in particolare, dal considerando n. 109 un principio di ordine generale che dovrebbe favorire l’impiego di rimedi manutentivi e perequativi da parte delle stazioni appaltanti.
9.1. Invero, con la sentenza 19 aprile 2018, C-152/17, la Corte di giustizia ha stabilito che:
1) poiché la stessa direttiva n. 18/2004/CE non stabilisce, a carico degli Stati membri, alcun obbligo specifico di prevedere la revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto, la mancata previsione nel combinato disposto degli artt. 115 e 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 – quanto agli appalti dei settori speciali – del compenso revisionale non è in contrasto con l’ordinamento UE;
2) parimenti, nemmeno i principi di parità di trattamento e di trasparenza sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme;
3) poiché il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella scelta del privato contraente, è proprio attraverso la mancata previsione del compenso revisionale – e non già con la sua obbligatorietà – che le norme di diritto nazionale si pongono in linea con il rispetto dei suddetti principi.
9.1.1. Con la sentenza del 7 settembre 2016, (C-549-14 – Finn Frogne), la Corte di giustizia, sia pure con riferimento alla direttiva 2004/18/CE, ma con principi che il Collegio ritiene estensibili alla direttiva n. 2014/24/UE, ha chiarito che:
a) “Dalla giurisprudenza della Corte risulta che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l’appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi (v., in tal senso, in particolare, sentenza del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37).” (§ 28);
b) “né il fatto che una modifica sostanziale dei termini di un appalto pubblico sia motivata […] dalla […] volontà di trovare una composizione transattiva a fronte di difficoltà oggettive incontrate nell’esecuzione di detto appalto, né il carattere obiettivamente aleatorio di talune realizzazioni possono giustificare il fatto che tale modifica sia decisa senza rispettare il principio di parità di trattamento di cui devono potersi giovare tutti gli operatori potenzialmente interessati a un appalto pubblico.” (§ 32);
c) “…il fatto stesso che, a causa del loro oggetto, taluni appalti pubblici possono essere a priori considerati aventi un carattere aleatorio rende prevedibile il rischio di sopravvenienza di difficoltà in fase di esecuzione. Pertanto, per un appalto del genere, spetta all’amministrazione aggiudicatrice non solo ricorrere alle procedure di aggiudicazione più adeguate, ma anche definire l’oggetto di tale appalto con cautela. Inoltre, come risulta dal punto 30 della presente sentenza, l’amministrazione aggiudicatrice può riservarsi la possibilità di apportare talune modifiche, anche sostanziali, all’appalto, dopo la sua aggiudicazione, a condizione che lo abbia previsto nei documenti che hanno disciplinato la procedura di aggiudicazione.” (§ 36).
9.2. Dalle richiamate sentenze della Corte di giustizia, si trae, dunque, una sostanziale neutralità dell’ordinamento europeo per gli aspetti relativi agli eventuali rimedi manutentivi che gli ordinamenti approntano per fronteggiare le sopravvenienze che incidono sugli aspetti economici del contratto.
9.3. Se poi si tiene conto, in particolar modo, di quanto stabilito dall’art. 46 del capitolato speciale dell’appalto risulta evidente che l’amministrazione ha voluto escludere o comunque circoscrivere in maniera stingente il rilievo giuridico delle sopravvenienze di carattere economico (relative ai “costi unitari afferenti lo smaltimento e trattamento rifiuti a carico dell’impresa aggiudicataria”) rispetto al rapporto contrattuale che ha inteso far sorgere.
9.4. Le doglianze esaminate vanno pertanto respinte

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

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