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Sentenze

La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non può considerarsi causa di automatica di esclusione (lo dice anche il nuovo Codice)

Nell’accogliere l’appello il Consiglio di Stato ribadisce i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n.9/2021, secondo cui la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non può considerarsi causa di automatica di esclusione. Anche perchè  lo stesso principio è stato poi positivizzato dal legislatore in sede di stesura del Nuovo Codice (d.lgs. n. 36/2023), che, sebbene non applicabile al giudizio, può essere utilizzato in via interpretativa, corroborando ulteriormente, semmai ve ne fosse bisogno, l’opzione ermeneutica seguita dall’Adunanza Plenaria con l’indicata pronuncia.

Questo quanto stabilito da Consiglio di Stato, Sez. V, 06/10/2023, n. 8715:

17. Ed infatti occorre al riguardo fare applicazione, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, dei princìpi espressi nella sentenza dell’Adunanza Plenaria, 27 maggio 2021, n. 9 che ha ritenuto in primo luogo, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, l.fall., che la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica dii esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. “In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici”. Questa conclusione, continua la citata sentenza, “che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica” (come nel caso di specie), “che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara”. Dell’avvenuta presentazione della domanda di concordato, ai sensi dell’art. 161 comma 6, l’operatore deve (prontamente) mettere a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. “Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020: facendo quindi applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. C bis, anziché della lett. F-bis”.

17.1. La Plenaria con tale arresto giurisprudenziale ha inoltre ritenuto irrilevante la questione sul se la partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell’art. 161, comma 7, della legge fallimentare, a seconda che detta partecipazione sia qualificabile come un atto di ordinaria ovvero di straordinaria amministrazione, evidenziando che il legislatore con l’art. 186 bis, comma 4, ha considerato nello specifico la partecipazione alla gara come un atto (ovvero, anche se non soprattutto, una condotta complessiva), da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare, ritenendo peraltro che “la centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione, qui sostenuta anche dalla difesa erariale, che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione. Si intende che – anche a chiarimento del quesito rivolto all’Adunanza – si sta ragionando sempre dell’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara, di cui all’art. 186 bis, comma 4, e non anche dell’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163, trattandosi di provvedimenti del tribunale differenti, nei presupposti e negli effetti, il secondo dei quali destinato ad essere adottato a distanza di mesi dalla presentazione della domanda di concordato con riserva, quando la procedura ad evidenza pubblica normalmente è già conclusa. Proprio perché consapevole di questa distanza temporale, sempre in chiave anticipatoria e prenotativa, il legislatore ha previsto che il rilascio del primo provvedimento sia condizione necessaria ma al tempo stesso (anche) sufficiente. Ove poi, nonostante il rilascio dell’autorizzazione, alla fine il tribunale non procedesse più all’ammissione dell’impresa al concordato o l’ammissione fosse revocata, aprendo così la via al fallimento ricorrendone i presupposti, è evidente che varranno le regole generali previste per i casi in cui il fallimento sopravvenga nel corso della gara o dopo la stipula del contratto (art. 110 e, per i raggruppamenti temporanei d’impresa, art. 48 del codice dei contratti)”.

17.2 Peraltro, come evidenziato di recente da questa Sezione con sentenza 10 maggio 2023 n. 4728, “Se è vero che l’Adunanza Plenaria – “così rispondendo in linea generale al terzo quesito”- ha evidenziato che “la centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione”, è però anche vero che la stessa Adunanza ha nel contempo chiarito che “è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante”.

Tale, come precisato dall’Adunanza Plenaria, “è il caso singolare dal quale è originato il giudizio in corso, in cui è mancato il rilascio di un’autorizzazione da parte del tribunale prima dell’aggiudicazione della gara, non essendo stata presentata un’istanza in tal senso dall’impresa concordataria sull’erroneo presupposto che non occorresse, ma è intervenuta l’autorizzazione alla stipula del contratto di appalto”.

Ne consegue che il profilo in esame non può di per sé fondare l’esclusione della impresa dalla procedura di gara, ma comporta unicamente la necessità che la stazione appaltante provveda ad un’apposita valutazione, alla luce delle particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante di tale autorizzazione (rilasciata dopo l’aggiudicazione e in vista della stipula del contratto di appalto, di cui il tribunale ha dunque valutato la compatibilità in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale).

Tale valutazione non spetta a questo giudice, ma ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm., deve essere rimessa alla discrezionalità della Stazione appaltante” (affermazione quest’ultima da intendersi riferita all’ipotesi in cui l’autorizzazione sia intervenuta tardivamente rispetto all’aggiudicazione, ma in tempo utile per la stipula del contratto, essendo solo quest’ultima autorizzazione tardiva rimessa alla valutazione discrezionale della stazione appaltante).

17.3. Il principio di diritto affermato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria deve intendersi diritto vivente applicabile anche alla fattispecie de qua, come poi palesato dalla circostanza che, in termini di continuità, lo stesso principio è stato poi positivizzato dal legislatore in sede di stesura del Nuovo Codice (d.lgs. n. 36/2023), che, sebbene non applicabile al presente giudizio, può essere utilizzato in via interpretativa, corroborando ulteriormente, semmai ve ne fosse bisogno, l’opzione ermeneutica seguita dall’Adunanza Plenaria con l’indicata pronuncia.

Ed invero, come del resto dedotto da parte appellante, le riferite statuizioni dell’Adunanza Plenaria hanno trovato ora esplicito riconoscimento normativo nell’ambito dell’art. 94, comma 5, lett. d) del nuovo Codice dei contratti pubblici, a mente del quale le Stazioni appaltanti possono escludere: “d) l’operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’accesso a una di tali procedure, fermo restando quanto previsto dall’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dall’articolo 186-bis, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e dall’articolo 124 del presente codice. L’esclusione non opera se, entro la data dell’aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all’articolo 186-bis, comma 4, del regio decreto n. 267 del 1942 e all’articolo 95, commi 3 e 4, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali”.

Questo Consiglio di Stato nella parte della relazione al nuovo Codice dei Contratti Pubblici riferita a detto disposto, ha evidenziato che, in adesione ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria, “l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale”.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti
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