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Sentenze

Non è scontato che sia illegittima la condotta dell’impresa che, in un appalto pubblico, sfrutti a proprio favore i differenziali del costo del lavoro esistenti fra due paesi, se ciò non crea un pregiudizio ai diritti dei lavoratori

Applicazione di contratto di lavoro di un paese estero (Spagna).

L’appellante denuncia l’illegittimità dell’aggiudicazione, perché l’aggiudicataria avrebbe illegittimamente applicato ai propri dipendenti un contratto collettivo di diritto spagnolo, che prevederebbe delle condizioni di trattamento economico e normativo più convenienti per il datore di lavoro, rispetto ai contratti collettivi applicati in Italia. Secondo l’appellante, il giudice di merito, ritenendo valido il suddetto contratto, sarebbe incorso nel vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3, della Direttiva n. 96/71, disposizione che mira a garantire una leale concorrenza tra le imprese nazionali e quelle che svolgono una prestazione di servizi transnazionale, imponendo a queste ultime sia di riconoscere ai loro dipendenti le condizioni di lavoro e di occupazione stabilite nello Stato membro ospitante, sia di assicurare ai lavoratori distaccati l’applicazione delle norme di protezione minima dello Stato membro ospitante, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione nel periodo in cui gli stessi svolgono temporaneamente un’attività lavorativa sul territorio di tale Stato.

Consiglio di Stato, Sez. V, 20/06/2023, n. 6070 respinge l’appello:

18.1. Con il primo mezzo, l’appellante deduce che la possibilità di avvalersi di un contratto straniero, nella specie, il contratto di diritto spagnolo ‘Convegno colectivo de tabajo del sector de Limpieza de edificios y locales’ da parte della mandataria ….. troverebbe ostacolo nella normativa e nella giurisprudenza euro unitaria.

L’assunto non è corretto.

18.2. L’appellante eccepisce, in particolare, che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 3 della Direttiva n. 96/71, la quale avrebbe l’obiettivo di a garantire la leale concorrenza tra le imprese nazionali e quelle che svolgono una prestazione di servizi transnazionale, imponendo a queste ultime di riconoscere ai loro dipendenti le condizioni di lavoro e di occupazione stabilite nello Stato membro ospitante. Inoltre, secondo l’esponente, la medesima disposizione avrebbe lo scopo di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione delle norme di protezione minima dello Stato membro ospitante, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione, nel periodo in cui gli stessi svolgono temporaneamente una attività lavorativa sul territorio di tale Stato membro.

Le critiche sono sostanzialmente finalizzate a sostenere l’illegittimità dell’applicazione del contratto collettivo di diritto spagnolo, atteso che tale contratto consentirebbe il riconoscimento, ai lavoratori dipendenti, di condizioni di trattamento economico e normativo più convenienti per il datore di lavoro, assicurando all’attuale aggiudicataria la formulazione di una offerta economica migliore, rispetto all’appellante, che invece ha applicato il vigente contratto collettivo nazionale di settore.

18.3. Dallo sviluppo argomentativo delle critiche, emerge che l’appellante non contesta che il contratto collettivo di diritto spagnolo non sia idoneo a garantire il riconoscimento di condizioni di trattamento economico e normativo convenienti per i lavoratori rispetto al contratto collettivo nazionale di settore italiano, ma piuttosto che tale contratto sarebbe più conveniente per il datore di lavoro, consentendo al RTI aggiudicatario di formulare un’offerta economica migliore.

Tale precisazione è importante al fine di orientare correttamente l’analisi della questione alla luce dei principi di derivazione comunitaria.

18.4. Va premesso che secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di questo Consiglio, la scelta del contratto collettivo da applicare rientra nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, con il limite però che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto (in termini, Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2017, n. 932; sez. V, 12 maggio 2016, n. 1901; sez. III, 10 febbraio 2016, n. 589).

In più occasioni, è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa che i principi di derivazione eurounitaria, che tutelano la libertà di impresa e della concorrenza, escludono che si possa imporre agli operatori economici l’applicazione di un determinato contratto collettivo (Cons. Stato, n. 4109 del 2016).

Invero, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. 50 del 2016, “nella misura in cui sono contemplati dagli allegati 1, 2, 4 e 5 e dalle note generali dell’appendice 1 dell’Unione europea dell’AAP e dagli altri accorsi internazionali a cui l’Unione è vincolata, le amministrazioni aggiudicatrici applicano ai lavori, alle forniture, ai servizi e agli operatori economici dei Paesi terzi, firmatari di tali accordi, un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai sensi del presente codice”.

La scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative di legge che regolerebbero il contratto.

Tali garanzie sono previste dalle norme sovranazionali, in mancanza della scelta della legge applicabile.

Ai sensi dell’art. 7 della Convenzione di Roma, non possono essere derogati i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale, considerati norme imperative. Solo ‘in mancanza di scelta della legge’ è applicabile, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a), la lex loci fori, vale a dire la legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure, ai sensi della lett. b), nel caso in cui il lavoro venga svolto in Stati diversi, il contratto è regolato dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore. E’ ammesso, tuttavia, che possa essere applicata la legge con quale il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto.

Il Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), efficace per i contratti conclusi a partire dal 17 dicembre 2009, dispone, all’art. 8, lo stesso regime statuito dalla Convenzione di Roma, rinviando, ‘in mancanza della legge scelta dalle parti’, in virtù del principio di autonomia privata statuito nell’art. 3, alla lex loci laboris, e affermando che la legge del paese in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro in esecuzione del contratto di lavoro non si reputa cambiata quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo.

Analogamente all’art. 6 della Convenzione di Roma del 1980, è anche ammessa nell’art. 8 del Regolamento Roma I la possibilità che il lavoratore svolga il lavoro in un altro paese temporaneamente, diverso dal paese in cui il lavoro è svolto abitualmente, e che il contratto di lavoro presenti un collegamento più stretto con un paese diverso da quello indicato ai commi 2 e 3.

Pertanto, alla luce delle regole dell’art. 6, comma 2, lett. a) della Convenzione di Roma del 1980 e, successivamente, dell’art. 8, comma 2, del Regolamento Roma I, si può affermare che il distacco dei lavoratori non influisce sulla legge applicabile al contratto di lavoro.

Ciò è confermato anche dall’applicazione della legislazione in materia di sicurezza sociale del paese di origine, con riferimento a un distacco non superiore a 24 mesi, ai sensi del Regolamento (CE) n. 883/2004.

18.5. Da siffatti rilievi consegue che le parti possono concordare la legge applicabile, e che il distacco dei lavoratori non influisce sulla legge applicabile.

La questione è se, nella specie, condizioni normative più favorevoli al datore di lavoro possano aver determinato una distorsione della concorrenza e, quindi, la violazione la Direttiva 96/71/CE che disciplina il distacco dei lavoratori.

Risulta espressamente dai considerando che la Direttiva ha lo scopo di conciliare opposte esigenze; da una parte garantire il principio della libera prestazione dei servizi, sancito dall’art. 56 TFUE, e dall’altra assicurare la concorrenza leale, tutelando i diritti dei lavoratori.

Ai sensi della predetta Direttiva, si intende ‘distacco’ la prestazione dell’attività del lavoratore, per un periodo limitato, nel territorio di uno stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha evidenziato che, in una certa misura, il quadro giuridico derivante dalla Direttiva 96/71/CE può collidere con il diritto alla libera prestazione di servizi (Corte giust. 23.11.1999, Jean-Claude Arblade e Arblade & Fils SARL (C-369/96) e Bernard Leloup, Serge Leloup e Sofrage SARL (C-376/96), Cause riunite C- 369/96 e C-376/96).

Secondo la giurisprudenza euro unitaria, la libera prestazione di servizi, come principio fondamentale del Trattato, può essere limitata solo da norme giustificate da ragioni imperative d’interesse generale e applicabili a tutte le persone o imprese che esercitano un’attività nel territorio dello stato membro ospitante, qualora tale interesse non sia tutelato dalle norme cui il prestatore è soggetto nello stato membro in cui è stabilito. Tra le ragioni imperative di interesse generale già riconosciute dalla Corte di Giustizia vi è la tutela dei lavoratori, che nel caso in esame non risulta essere stata in contestazione.

Pertanto, sotto tale profilo non vi è alcuna violazione della Direttiva invocata. Né si può predicare che il diritto euro unitario osta, in via generale, all’applicazione di una legge che non crei pregiudizio alla libera prestazione di servizi e garantisca la tutela dei lavoratori.

La Corte di Giustizia ha anche chiarito che l’art. 3 della Direttiva 96/71 non può essere interpretato nel senso che consenta allo Stato membro ospitante di subordinare l’effettuazione di una prestazione di servizi sul suo territorio al rispetto di condizioni di lavoro e di occupazione che vadano al di là delle norme imperative di protezione minima (Corte Giust., 4.3.2008, Dirk Ruffert contro Land Niedersachhsen, Causa C-346/06, in Racc. 2008, I-01989).

In sostanza, secondo la giurisprudenza euro unitaria, è vero che uno degli obiettivi della Direttiva, riconosciuti dalla Corte, è preservare la leale concorrenza, evitando le distorsioni derivanti da condizioni meno favorevoli che prevalgono nei paesi di origine dei lavoratori, ma è anche vero che in alcune situazioni l’applicazione della legislazione del paese ospitante ha chiaramente lo scopo di proteggere le imprese nazionali, rendendo il distacco eccessivamente oneroso e burocratico per le imprese di altri stati membri, scoraggiando in tal modo la libera prestazione dei servizi.

Questa Sezione ritiene che la necessità di garantire la libertà di mercato e la libera circolazione dei servizi, nella vicenda in esame, non può essere pregiudicata, atteso che l’applicazione del contratto di lavoro di diritto spagnolo ha comunque assicurato il rispetto delle condizioni minime di tutela ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto pubblico, pur consentendo all’operatore economico di scegliere un regime giuridico che è risultato maggiormente vantaggioso, senza che ciò possa aver determinato una distorsione della concorrenza, rilevato che, come verrà di seguito chiarito, l’importo della manodopera risultante dai contratti collettivi applicati è stato di euro 4.803.000,00, mentre il minimo nelle tabelle dei minimi salariali di riferimento è pari ad euro 2.216.165, 97.

A sostegno dell’assunto va richiamato quell’indirizzo della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui l’abuso di diritto non si può prefigurare quando è in gioco l’esercizio di un diritto fondamentale quale è la libertà di prestare servizi, garantita dal Trattato, con la conseguenza che non appare così scontato che si possa ritenere illegittima la condotta di quell’impresa che, nell’ambito di un appalto pubblico, sfrutti a proprio favore i differenziali del costo del lavoro esistenti fra i due Paesi, se ciò non crea un pregiudizio ai diritti dei lavoratori (Corte Giust. 9 marzo 1999 C-212/97 Centros Ltd ; Corte Giust. 10 luglio 1986, C-79/85, D.H.M. Sergers; cfr. anche Corte giust. 17.11.2015, causa C-115ì/14 Regiopost, in tema di standard di limiti salariali).

Va, pertanto, condiviso l’approdo argomentativo sostenuto dal giudice di prima istanza, secondo cui non è vietato dalla legge l’applicazione di condizioni di lavoro stabilite da un contratto collettivo straniero, né è incompatibile con il diritto europeo.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti
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