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Sentenze

Danno da mancata aggiudicazione. Il criterio ex articolo 1226 del Codice Civile non è applicabile

L’appello, tra i vari motivi, si dirige avverso il capo di sentenza che ha respinto la domanda risarcitoria per carenza di prova del quantum del danno da mancato conseguimento dell’utile che sarebbe derivato all’impresa dall’aggiudicazione della gara e dall’esecuzione della commessa pubblica.

Lamenta l’appellante che il Tar, nell’allinearsi alla giurisprudenza amministrativa che in materia di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione richiede la prova della percentuale dell’utile effettivo conseguibile in concreto, non si sia avveduto che nella fattispecie la sua esatta quantificazione non era possibile o era comunque di estrema difficoltà, da cui la reviviscenza del criterio sussidiario e residuale ex art. 1226 Cod. civ. affermata per dette ipotesi dalla stessa giurisprudenza al fine di evitare pronunzie di non liquet, stigmatizzate anche dalla giurisprudenza civile in quanto contrarie alle regole e ai principi di giustizia dell’ordinamento vigente.

Il criterio automatico di quantificazione del danno, secondo il Consiglio di Stato, non è più applicabile, secondo consolidata giurisprudenza.

Ecco quanto stabilito da Consiglio di Stato, Sez. V, 28/09/2023, n. 8568 nel respingere l’appello:

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Per il riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione valgono i principi elaborati dalla decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 12 maggio 2017, n. 2, che, confermata la giurisprudenza venutasi a formare sulla materia (ex plurimis, Cons. Stato, V, 8 agosto 2014, n. 4248; 28 aprile 2014, n. 2195; IV, 2 dicembre 2013, n. 5725; III, 16 settembre 2013, n. 4574; V, 7 giugno 2013, n. 3135; 3 giugno 2013, n. 3035; Cons. giust. amm., 11 marzo 2013, n. 324; Ad. plen., 13 novembre 2013, n. 25, Ad. plen., 25 settembre 2013, n. 21; Ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3; Cass. civ., Sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; 11 gennaio 2008, n. 576 e 582; Corte di giustizia UE, III, 30 settembre 2010, C-314/2009; 10 gennaio 2008, C-70/06; 14 ottobre 2004, C-275/03), ha stabilito che:

a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1 Cod. proc. amm., il danneggiato deve offrire la prova dell’ane del quantumdel danno che assume di avere sofferto;

b) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculume dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Non è dubitabile, invero, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chancedi aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti;

c) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex 64 commi 1 e 3 Cod. proc. amm.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato che contraddistingue l’esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra nell’azione di risarcimento dei danni, per la quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697 primo comma Cod. civ.;

d) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 Cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno;

e) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;

f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della “inferenza necessaria”), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’idquod plerumque accidit(in virtù della regola della “inferenza probabilistica”), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio a una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;

g) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché esso non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’idquod plerumque acciditsecondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo);

h) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante;

i) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

4.3. Ciò posto, osserva il Collegio che xxx nulla obietta sul rilievo del Tar circa l’abbandono da parte della giurisprudenza amministrativa del criterio automatico di quantificazione del danno, ma sostiene piuttosto che detto criterio avrebbe dovuto trovare applicazione residuale nella fattispecie, in cui la prova dell’utile effettivo conseguibile in concreto era impossibile o di estrema difficoltà.

La tesi è da respingere.

 

Art. 1226. Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti
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