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Sentenze

In caso di ritiro della proposta di aggiudicazione non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento ( e non spetta l’indennizzo ex art. 21 quinquies della legge n. 241/90).

Una prima procedura di gara si conclude con la proposta di aggiudicazione alla ricorrente. La proposta di aggiudicazione viene revocata sulla base di rilievi di ANAC sulle modalità di individuazione degli operatori da invitare alla gara. Viene espletata una nuova procedura in cui l’originaria aggiudicataria ( ricorrente ), giunge terza.

Il ricorso avverso gli atti della stazione appaltante viene respinto da Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, 07/12/2020, n.864, ribadendo ampia e significativa giurisprudenza :

Ciò chiarito, nella fattispecie il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal principio affermato dalla giurisprudenza, secondo cui «Nelle gare pubbliche, la decisione della Pubblica amministrazione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è da classificare come attività di secondo grado (diversamente dal ritiro dell’aggiudicazione definitiva), atteso che, nei confronti di tale determinazione, l’aggiudicatario provvisorio vanta solo un’aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento: pertanto, l’assenza di una posizione di affidamento in capo all’aggiudicatario provvisorio, meritevole di tutela qualificata, attenua l’onere motivazionale facente carico alla Pubblica amministrazione, in occasione del ritiro dell’aggiudicazione provvisoria, anche con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico giustificativo dell’atto di ritiro.» (Cons. Stato Sez. III, 6/8/2019, n. 5597; idem in Cons. Stato Sez. V, 11/10/2018, n. 5863; T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 11/3/2020, n. 3142).

Nella fattispecie la motivazione della revoca è da individuarsi nella volontà del Comune di evitare ogni possibile contenzioso in relazione all’applicazione dei criteri scelti per l’individuazione delle gare da invitare. A tale proposito si deve precisare che, sebbene il Comune non abbia integralmente condiviso i rilievi mossi da ANAC, come è ragionevole attendersi dall’amministrazione che li ha scelti, l’utilizzo di criteri di selezione delle imprese da invitare come quelli adottati nel caso in esame è oggetto di un ampio, diffuso e acceso dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale. Ciò giustifica, a fronte dei tempi strettissimi per l’affidamento dei lavori, l’atteggiamento prudenziale del Comune che, anziché compiere la complessa istruttoria che avrebbe richiesto il controbattere alle osservazioni di ANAC e rischiare comunque il fermo dovuto alla proposizione di un ricorso, ha preferito optare per pubblicare un nuovo avviso affidando la scelta degli operatori da invitare al caso (ovvero individuandoli mediante estrazione).

Soluzione che non ha comunque precluso alla ricorrente di partecipare alla gara, peraltro in posizione più favorevole, perché in concorrenza con altri nove concorrenti, in luogo di quattordici.

Quanto sin qui rappresentato rende superfluo l’entrare nel merito delle censure di cui alla terza doglianza, che tendono a confutare i rilievi di ANAC, essendo sufficiente a giustificare la scelta del Comune la volontà di evitare di lasciare spazio a possibili contenziosi su profili particolarmente controversi quali quelli su cui ANAC ha richiamato l’attenzione della stazione appaltante. Il provvedimento risulta, dunque, sufficientemente motivato, mentre non può essere ravvisata alcuna carenza istruttoria, anche in considerazione del fatto che “la revoca della proposta di aggiudicazione non è soggetta ad un particolare aggravio motivazionale rispetto al contenuto minimo prescritto dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 ed all’obbligo di comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato per difetto di una situazione di affidamento degna di tutela, non trovando applicazione, quindi, la disciplina dettata dagli art. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990” (T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, 21/9/2020, n. 320) .

Quanto ai profili partecipativi, il Collegio ritiene che il Comune abbia legittimamente provveduto alla revoca senza alcuna comunicazione all’odierna ricorrente, in conformità all’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai fini del ritiro della proposta di aggiudicazione, non vi è obbligo di avviso di avvio del procedimento” (T.A.R. Abruzzo n. 320/2020).

Tanto più che lo stesso avviso di gara prevedeva, nel caso in esame, che ciascun concorrente dichiarasse espressamente «di essere a conoscenza che la presente richiesta, non costituisce proposta contrattuale e non vincola in alcun modo la Stazione Appaltante che sarà libera di seguire anche altre procedure e che la stessa Stazione Appaltante si riserva di interrompere in qualsiasi momento, per ragioni di sua esclusiva competenza, il procedimento avviato, senza che i soggetti richiedenti possano vantare alcuna pretesa» (pagine 5 e 7 doc. 1 del ricorrente).

Così respinte le censure rivolte avverso il provvedimento di revoca della prima gara, deve essere ravvisata l’infondatezza anche del quarto motivo di censura, incentrato sulla illegittimità della nuova aggiudicazione perché condizionata dal fatto che erano già note le offerte formulate nella prima e, quindi, gli operatori avrebbero proposto in ragione di ciò un maggiore ribasso. Tale circostanza è smentita per tabulas in considerazione del fatto che, come già anticipato, l’aggiudicataria non ha mai partecipato alla prima gara e, dunque, non ha potuto avere conoscenza delle offerte presentate in quel procedimento, così come anche le altre otto imprese, essendo la ricorrente l’unica ad essere stata invitata ad entrambe.

Quanto all’asserita illegittimità derivante dalla mancata applicazione dello stand still, l’accertamento della contrarietà all’ordinamento della clausola che ha previsto di procedere alla sottoscrizione del contratto senza attendere lo scadere del termine dilatorio di cui all’art. 32 del codice degli appalti non comporterebbe comunque l’illegittimità degli atti impugnati, ma potrebbe, al più, produrre l’effetto di caducazione del contratto stipulato in ragione di essa. Posto, dunque, che il legislatore ha inteso temperare le conseguenze derivanti dalla mera violazione del divieto temporaneo di stipula, nell’ottica – conforme alla ratio dell’istituto – di collocare tale divieto in posizione “servente” della tutela giurisdizionale e delle esigenze di effettività della stessa, al di fuori di tali ipotesi di tutela, la violazione del predetto divieto non giustifica l’annullamento dell’aggiudicazione medesima o la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato. In altre parole, la violazione del principio dello stand still, di per sé considerata, e cioè senza che vi concorrano vizi propri dell’aggiudicazione, e semprechè non abbia influito negativamente sulla possibilità del soggetto titolare del relativo interesse di ottenere l’affidamento, vale a dire il “bene della vita” cui quella posizione soggettiva risultava correlata, non comporta l’annullamento dell’aggiudicazione medesima o l’inefficacia del contratto (in tali termini Consiglio di Stato, sentenza n. 775/2017, da cui il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi).

Nella fattispecie in esame, dunque, non essendo stata preclusa la possibilità per la ricorrente di ottenere il bene della vita cui non poteva comunque aspirare per le ragioni già più sopra evidenziate, il mancato rispetto dello stand still non risulta avere avuto alcuna autonoma lesività legittimante il preteso annullamento degli atti impugnati.

Deve essere, infine, respinta la domanda volta ad ottenere la condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo ex art. 21 quinquies della legge n. 241/90, atteso che esso non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo in caso di revoca di atti definitivi (T.A.R. Lazio, Roma, n. 11098/2015). Più in particolare, per quanto attiene allo specifico ambito della gara d’appalto, il Collegio ritiene di poter aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, essendo stato interrotto il procedimento nella fase di proposta di aggiudicazione, e quindi prima dell’aggiudicazione, non spetta al ricorrente l’indennizzo ex art. 21 quinquies della L. n. 2412/1990 poiché “nelle gare pubbliche, nel caso di mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria, non spetta all’interessato l’indennizzo, di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241/1990, che riguarda solo ai danni provocati dalla revoca di provvedimenti ad efficacia durevole, tra i quali non rientra l’aggiudicazione provvisoria” (così si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 4 settembre 2013, n. 4433, richiamata nella sentenza TAR Campania, Napoli, Sez. III, 2 marzo 2018, n. 1350 e, a sua volta, nella sentenza del TAR Parma n. 304/2018).

A cura di Roberto Donati – Giurisprudenza e Appalti

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